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Il « dictionnaire des injures » ossia giostrare con l’ironia

Françoise Bayle



Comunicare non è affatto semplice. Esistono molti tipi di comunicazione: orale o scritta, verbale o mimica, diretta quando i locutori scambiano frontalmente le loro idee, o trasversale quando il messaggio passa per mezzo di un intermediario (persona o tecnica locutoria). Quando si parla di comunicare, sull’ironia pesa sempre il sospetto della malevolenza e dell’impossibilità di discernere i confini. Umorismo o ironia? Ironia o satira? Le sfumature vengono fornite dal contesto e l’analisi di un dizionario non è l’opera più adatta per valutare con esattezza queste sottigliezze. Pur tuttavia, involontariamente o consapevolmente, gli autori di dizionari cadono talvolta nelle trappole dell’ironia quando illustrano alcuni lemmi. Inoltre, il “Dictionnaire des injures1 di Robert ÉDOUARD si è rivelato il luogo ideale per scoprire sia le differenze tra le varie potenzialità comiche del linguaggio (di cui daremo alcune illustrazioni più avanti) sia molti esempi di comunicazione ironica.
Ma, prima di iniziare la nostra riflessione, dobbiamo delimitare il lessema “injure” e vedere in che cosa si differenzia da “insulte”. Nel consultare i dizionari di lingua corrente, abbiamo rilevato le seguenti definizioni:

bayle

2
Notiamo che tutti i dizionari consultati hanno una definizione comune che consiste nel dare a injure e a insulte un valore semantico equivalente a quello di “offesa verbale” che ritroviamo anche nel lemma insulto italiano, che useremo oramai nella nostra analisi.
Ora vediamo in che cosa consiste l’ironia nel campo degli insulti tenendo conto che insulto e ironia, violenza e calma, rozzezza e acutezza di spirito sono due poli di un rapporto contraddittorio. Sono una comunicazione diretta e trasversale allo stesso tempo. Inoltre, rileviamo che umorismo, ironia e parodia appartengono a diversi campi semantici nuancés del “comico” pur facendo parte di contesti simili tra loro ma diversamente estesi. In essi, il dire non dicendo (o negando o mascherando) esprime la volontà dei parlanti di ostentare una posizione di distacco (spesso di superiorità) o di complicità nei confronti di un interlocutore (o di alcuni locutori) col preciso intento di escludere gli altri possibili interventi e/o di squalificare il resto del discorso.
L’ironia si differenzia dalle altre forme del “comico” perché è caratterizzata dall’ambiguità in quanto i messaggi emessi dall’ironista sono sempre legati ad una doppia decodifica e alla scelta difficile tra due aspetti. Infatti, è stato scritto che “L’essenza dell’ironia consiste nell’affermare il contrario di ciò che intendiamo comunicare all’altro, al quale facciamo capire che noi stessi intendiamo affermare il contrario di ciò che diciamo”3 in realtà. Gioco degli equivoci e delle incertezze! Ora rileviamo che i linguaggi detti “periferici” (parler populaire, argot, verlan, ecc.) così come alcuni settori specifici della lingua comune (preghiere, insulti, ecc.) trovano una efficacia superiore mediante l’utilizzo di tecniche ironiche.
Ma perché scegliere proprio l’area dell’ironia per riflettere sull’efficacia degli insulti? Senz’altro perché ironia e insulto sono i due poli opposti del confronto con l’Altro, del distacco o del rifiuto del Diverso. L’ironia, così come l’insulto, traducono una critica o un rifiuto ma indicano anche la possibilità di due atteggiamenti in contemporanea. Questo distanziarsi dall’Altro si manifesta nella calma - primo caso- o nella violenza - secondo caso- . Dire ad un uomo “Et va donc, crapaud” può essere considerato un semplice insulto se si riferisce all’aspetto fisico, in questo caso, conviene specificare “vilain crapaud”. Ma la mancanza dell’aggettivo apre la porta all’ironia perché chi proferisce la prima frase può alludere al veleno contenuto nelle parole dell’interlocutore (in questo caso il crapaud è solo una malalingua!) e chi si sente così interpellare può fingere di interpretare l’epiteto dal punto di vista della utilità dell’animale e ritorcere l’insulto contro il mittente sottolineando che, diversamente da chi ha iniziato la tenzone, i batraci sono apprezzati per la loro utilità4
Ora però non dobbiamo confondere “injure” con “gros mots”. La parolaccia può diventare un insulto ma l’insulto non è la parolaccia. Alcuni beoti senza cultura possono ridurlo a quest’ultima ma l’abuso di volgarità finisce con lo svuotare le parole del loro contenuto semantico. Quale impatto invece può raggiungere l’insulto ironico, quale forza penetrante scaturisce dal “botta e risposta” che lascia il destinatario così interdetto da non sapere come comportarsi mentre chi usa la finezza dell’insulto ironico rimane soddisfatto per aver messo a tacere l’eventuale “avversario”.
Quali parole possiamo considerare insulti? Una buona metà dei sostantivi o delle locuzioni contenute nei dizionari, adeguatamente usati, possono trasformarsi in “insulti”quando hanno la “funzione allocutiva di burlarsi, deridere, prendere in giro5. A conferma basta consultare alcuni testi come il “Dictionnaires des injures” o il “Traité d’injurologie”6. Lì, scopriamo come un lemma semplice e universale come “feu”, per il quale tutti i dizionari danno definizioni politicamente corrette e che traduciamo “fuoco” oppure “passione”, possa assumere, in francese, valori ironici, satirici o insultanti. Persino il comune dizionario monolingue, può rappresentare la prima fonte e il primo “nascondiglio” di insulti più o meno forbiti. Da quei testi, Robert Édouard ha attinto per formare un suo corpus di commenti e battute umoristiche. Questo corpus, tuttavia, si snoda su diversi livelli così classificabili: a. insulto colto, letterario o storico; b. insulto popolare; e infine c. insulto volgare o erotico (che sfioreremo soltanto). Per illustrare le nostre teorie, prenderemo in considerazione il valore ironico della parola stessa e/o quello del commento che accompagna le varie “entrées”.

A. L’insulto colto, letterario o storico.

Questa forma d’insulto è ormai molto rara. È basata quasi sempre su fatti storici comprovati, su allusioni letterarie o su situazioni geopolitiche che assumono l’aspetto di catacresi, (come i riferimenti ai turchi, russi, inglesi, in locuzioni del tipo “fumer comme un turc”, “boire comme un moujik”, “filer à l’anglaise”), su aspetti religiosi o su pseudo conoscenze scientifiche.
Abbondantemente praticato in Francia nei secoli passati, come possiamo rilevarlo dalla lettura di opere teatrali o di romanzi, l’arte dell’insulto è stato lo specchio di una lingua varia, fiorita, e molto pepata. Dote tanto più coltivata in quanto si prestava facilmente alla controbattuta e permetteva agli antagonisti di sfogare i propri umori ed esaltare la propria cultura. In ogni caso, ancor oggi, l’arguzia e l’ironia sono le caratteristiche dominanti dell’insulto letterario. Non sempre la parola chiave dell’insulto letterario risulta altisonante, anzi la finezza sta spesso nell’usare lemmi apparentemente banali ma particolarmente allusivi.
Partendo da lemmi semplici ma proverbialmente noti per la loro polivalenza o i loro valori contraddittori in alcune locuzioni correnti, come coq (gallo) in faire le coq (fare il don Giovanni / essere coccolato) o lézard (lucertola) in faire le lézard (impigrire / andare piano), è possibile creare una frase a doppio senso che sia, nello stesso tempo, rimprovero ironico e ammonimento. Così, partendo dall’osservazione banale della mamma, esasperata dalla pigrizia del figlio, che sbotta: “Arrête de faire le lézard, viens m’aider”, possiamo arrivare ad un insulto ironico appena velato. Infatti l’immagine apre su spazi più piccanti quando una moglie dice malinconicamente al proprio marito “Quand tu auras fini de faire le lézard, tu t’occuperas de la salamandre”. Grazie all’abbinamento lézard/salamandre che unisce animale e fuoco (altro lemma ambiguo!), il rimprovero e l’umorismo diventano insulto spiritoso e ammonimento ai quali è difficile rispondere. Con queste parole, la signora intende dire al marito che dovrebbe adempiere più spesso ai doveri coniugali. Il sottinteso, feu = amour, che risale al XVII secolo, considerato banale e noioso, assume qui un impatto ironico se si pensa che il lemma sottinteso feu viene usato per indicare il fondoschiena di una bella ragazza che lo ostenta camminando in maniera provocante7, gli ardori sensuali di una donna matura8 o l’erotismo ostentato di una prostituta 9. Per ritornare al nostro esempio, l’opposizione dei sostantivi lézard/salamandre, crea una allusione ironica letteraria non immediatamente percepibile a causa della banalità della parola chiave ma che risale a Francesco I (del quale è nota la foga amorosa) il quale aveva scelto per emblema la salamandra 10. L’interlocutore può rimanere perplesso ma che delizia quando s’intravede lo sguardo malizioso di chi ha capito.
In altre occasioni l’umorismo può risultare più ostentato e più pedante perché richiede una doppia decodifica: dire ad un uomo “espèce de flaccus”, ricorrendo al soprannome del poeta Orazio, può sembrare ermetico11: viene accettato con perplessità da chi non ne conosce la nomea di viltà ma è più colorito del banale “vil personnage!” o “mollasson” e suona molto meno offensivo di insulti come lécheur, carpette, boujouteur oppure lèche-cul. Nessuno di questi lemmi più comuni è carico dell’impatto semantico pregnante e intrigante contenuto nella locuzione colta.
In un contesto linguistico modestamente colto, ammonire chi osa “abélarder”12 può suonare misterioso se non si conosce la punizione riservata al noto teologo del XII secolo. Il saggio che rifiuta espressioni triviali per affermare che non si lascerà importunare più a lungo può gettare nella conversazione “Je ne me laisserai pas abélarder plus longtemps!” sicuro di creare un profondo silenzio durante il quale tutti i presenti avranno da riflettere. L’alterazione del riferimento culturale rende più intenso il valore satirico del fatto realmente avvenuto mediante l’apparente dissimulazione della sua vera natura storicamente comprovata. Ed è senz’altro più efficace di “je ne me laisserai pas casser les c’ plus longtemps” senz’altro più evidente ma di minor impatto.
Altrove, l’ironia “colta” contenuta nell’insulto può ricorrere ad un’iperbole o alla semplice enfasi, più o meno lessicalizzati. Nel caso di allusione geopolitica, parlare dell’aspetto trasandato di una signora, dopo una notte un pò agitata o dopo un gran dispiacere, può rivelarsi delicato e l’ironista che si rivolgesse ad essa esclamando « C’est la berezina, Marquise, ce matin ! »13 : rischierebbe di incorrere nel suo odio perenne qualora ricordasse l’entità del disastro.
Talvolta basta il contrasto tra parola colta desueta e parola popolare per creare l’effetto di sorpresa. Infatti, dire oggi ad una persona che è un faquin (XVI° s. servo) non rispecchia la superbia e lo spirito di classe che animava chi pronunciava la parola nei secoli passati; oggi, viene rivolto ad un farabutto, una canaglia14 ma mai da solo. L’insulto è tanto più ironico quanto è meno segnalato e quindi rischia l’incomprensibilità se l’ingiuria colta non è inserita tra tante altre popolari che sottolineano l’ignoranza dell’interlocutore.
In un altro caso, pur conoscendo vagamente il senso della parola chiave dell’insulto (Hercule), molti si stupiscono sentendo la locuzione « avoir l’hercule » che troviamo nell’apostrofo seguente : « J’en connais qui ont l’hercule ! » usato per deridere chi sfoggia (reale o meno) la sua forza fisica e per segnalargli il rischio di « prendre une culotte » (essere amazzato) o di « ramasser une tunique » (essere ferito in modo tale da tentare il suicidio) alludendo all’episodio del centauro ucciso da Ercole.
L’ironia può manifestarsi nell’accostamento di vari livelli allusivi : se una donna della « buona società » si sente attribuire la qualifica di « Hétaïre » ossia «cortigiana di lusso», potrebbe rispondere con un « ne fais pas ton Saint Joseph » dove il Joseph in questione si inserisce nella duplice area semantica (religiosa) di persona generosa e pudica, (matrimoniale) di marito tollerante e/o cornuto ma può anche riferirsi à Joseph Putiphar e ricoprire l’area semantica di totale imbecillità.
L’insulto scientifico non suona molto ironico perché si limita spesso all’enfatizzazione o ad una caricatura di conoscenze scientifiche. Così, se qualcuno ci dice “tu me tapes sur les nerfs”, è possibile annuire aggiungendo con aria compassionevole “tu as raison, j’oubliais que tu es un névropathe”, dove i sostantivi italiani corrispondenti (neurolabile o/e neuropatico) possono essere intesi come malato reale ma anche come deficiente e la “feinte énonciative” diventa il fattore di un’ironia ostentata come tale. In un altro caso, se qualcuno propina un racconto aberrante, non è raro sentire una risposta del tipo “c’est de la parano” abbreviativo di paranoia senza nulla di ironico ma semplice espressione di esasperazione. Il mondo scientifico non è produttore di ironia.

B. L’insulto popolare

Il punto di partenza dell’insulto ironico è spesso una delusione da parte di chi lo proferisce. Il destinatario, spesso inconscio di questo stato d’animo, non sempre recepisce la battuta soprattutto quando l’ironista sembra concordare con lui talvolta andando oltre le sue dichiarazioni. Così, ad un giovane che, in uno slancio ipocoristico dice di una giovane donna, bella ma un po’ sciocca, “c’est une véritable Bardot!”15, una persona più anziana e avveduta potrebbe rispondere “non, c’est un véritable bardot” , e l’antanaclasi ironica provocherà non poche perplessità sul cambiamento di genere (o di sesso) dell’oggetto della sua ammirazione.
Siccome l’ironia ha sempre bisogno di un pubblico per accrescere il suo valore, l’insulto popolare a sua volta ricorre a tecniche ironiche ma più palesi come il gioco delle coincidenze che spesso situano l’equivoco al centro dell’incontro combinatorio delle parole: in bretone, gars significa da tempi remoti “ragazzo” e garce “ragazza”. Dal XVII secolo fino al 1915-20 circa, il lemma ha significato “ragazza da molti uomini” ossia prostituta, poi assunse il senso di giovane donna di pessimo carattere e finalmente, ai giorni nostri, di bella ragazza dispettosa. Oggi, dire ad una donna che è una garce rientra nell’area semantica dell’insulto e dell’ammirazione - a meno che ad usare quest’insulto popolare sia una persona colta che intende alludere alla vita libera di tale donna e trattarla cosi di “donnaccia”. Su questo slittamento semantico e sulla similitudine fonetica gioca R. Edouard quando descrive la locuzione: « Brailler comme un sourd » 16, rivolta ad uno che parla a voce troppo alta, fingendo di confondere brailler e bailler e di mettere sullo stesso piano apparati sensoriali assai diversi come l’udito, la parola, la vista e un aspetto comportamentale legato alla fame o la noia : “arrête de brailler comme un sourd, patate!”.
Può essere considerato insulto ironico un semplice aggettivo: provate a mormorare «Atroce !» con un’intonazione sensuale, funerea o spaventata nel ricambiare spavaldamente lo sguardo insistente di un uomo e vedrete come saranno diverse le reazioni del vostro interlocutore17 ! Lo stesso vale per un sostantivo comune, che intende squalificare il resto del discorso contestualizzato grazie alla “feinte énonciative”. È il caso per il lemma « Anticailles » rivolto ad una persona anziana di sesso maschile, quando non si allude all’età presunta (sarebbe un oltraggio) ma alle sue preferenze sessuali in un discorso trasversale (ed è ironia). Infatti l’autore del volumetto precisa « Anticaille: se dit des homoxexuels (de anti-: contre ; et de caille pris dans son sens argotique de poulette).» : In questo caso l’ironia è situata su due livelli, quello dell’insulto peggiorativo applicato ad una persona – tra l’altro non più giovane - in una alterazione paradossale del riferimento (antico d’una parte e quaglia dall’altra) allo scopo di sottolineare l’età non propriamente invidiabili e il comportamento della persona cui è rivolto. Il secondo livello, quello del gioco di parole dell’autore basato sull’alterazione del lemma corrente (anticaille peggiorativo di antiquité) e il riferimento ad altri codici linguistici come il verlan o l’argot quanto sceglie il senso di anti- è « contro » invece di « prima » abinato alla metafora zoomorfa appartenente all’area semantica dell’erotismo.
Come lo abbiamo notato partendo da esempi precedenti, una tecnica ulteriore dell’ironista è quella dell’ambiguità che lascia intendere che l’emittente dice una cosa di cui il destinatario presuppone di conoscere il livello allusivo che dice senza dire. Questo gioco di specchi – che presuppone un pubblico capace di godere l’equivoco - falsa l’intenzione del discorso e lascia il dubbio nel destinatario. Infatti, se il lemma “lavette” interviene in un discorso tra linguisti, sarà perché uno di loro usa troppo la propria lingua in chiacchiere inutili oppure perché non ha forza di carattere sufficiente per esprimere chiaramente la sua opinione su un fatto linguistico e questo avviene perché l’ironia è legata al gioco delle interferenze (fonte dell’ambiguità lessicale) tra comportamenti simili in occasioni diverse.
Un altro esempio di ironia implicita nell’insulto è legato alla tecnica dell’enfatizzazione : è ciò che avviene quando un autista esclama: « Encore un poulet qui se prend pour un aigle ! » parlando di un poliziotto considerato troppo zelante nello stendere un verbale di contravvenzione. Altro esempio di enfatizzazione : una donna, mal sopportando le proposte oltraggiose di un personaggio importante ma insulso, parafrasando La Fontaine, esclama : « vous êtes le phénix des hôtes de cette réunion, je ne puis !18» quando col ditirambo phénix, essere mitico e inaccessibile pronunciato [pfenix], insinuava pénis stigmatizzando così le millanterie dell’uomo. In questo caso, l’ironia si presenta anche come figura di antitesi e consiste allora a dire il contrario di ciò che si pensa.
Una tecnica popolare dell’ironia consiste nel dire una cosa intendendone un’altra attraverso una manipolazione semantica che disloca l’espressione o la parola dal suo contesto naturale: « Souris d’autel » : si dice con disprezzo di una donna pia sempre in movimento, nota anche come grenouille de bénitier soprattutto se emana qualche odore inerente all’età avanzata (sottointendendo che forse odia l’acqua) ; oppure, giocando sulle assonanze, la si può definire amante religieuse (per eufonia con mante religieuse che divora il suo maschio mentre qui beve acqua santa).
Nella categoria delle ingiurie popolari considerate ironiche ma corrette poiché nate da semplici manipolazioni semantiche, possiamo annoverare molti sostantivi designanti gli animali. Troviamo così gli Hibou, Marabout o Matou che indicano gli uomini di età avanzata che si differenziano per scienza, austerità o libidine ; Taupe rivolto alle donne mature insistendo sulla sfumatura di malignità insita nel loro carattere. Per indicare il sovrappeso, troviamo, parole come Hippopotame e Rhinocéros riferito agli uomini e per le donne Libellule ma usato sempre in sintagmi negativi: viene tacciato di essere un Serpent l’ipocrita mentre il furbo è un Renard. A chi per la mancanza di coraggio viene attribuito il soprannome di Lièvre mentre Mante religieuse è la persona che esprime una eccessiva possessività. Un lemma come Kangourou allude alla scarsa virilità, mentre Coq oppure Lièvre all’eccesso di virilità. Altri lemmi indicano la venalità nel rapporto d’amore: Langouste, Limande, Merluche, Punaise per le donne e Maquereau per gli uomini. Rat indica l’avarizia. Sottolineano la repulsione ispirata da certe persone, alcuni altri soprannomi come Limace per le donne e Pou per gli uomini. Un individuo noto per la sua bruttezza è un Macaque, per la sua goffagine, una Moule oppure un Ours. Il testardo, uomo o donna che sia è senz’altro una Mule Non mancano allusioni ad altre etichette più in rapporto con il linguaggio settoriale, per esempio, chi è affetto da carrierismo viene chiamato Mouche mentre chi si dimostra convinto dell’importanza del proprio ruolo nel gruppo è un Chimpanzé (se si tratta del datore di lavoro) o un Singe (se è un capo-responsabile).
Tra le decine di esempi di equivoci, giochi di parole, allusioni più o meno velate che si potrebbero citare, riportiamo quello legato al lemma gland 19 frutto dell’albero più caro ai Galli, la quercia, che ricopre diverse aree semantiche. La ghianda, più che altro destinata a mangime per il bestiame diventa, in francese, sinonimo di occasione di perplessità, attributi sessuali maschili, tempo perso e inattività, a seconda del contesto. Gland che appartiene inoltre a tre livelli linguistici (lingua corrente, lingua popolare e lingua erotica) è un bell’esempio di polivalenza e di produttività linguistica. Rileviamo una serie di definizioni contrastanti sia per il lemma che per i suoi derivati – con esemplificazione concreta - che vanno dall’equivoco all’erotismo, dal mancato possesso di una cosa alla carenza di affetto, dalla perdita di tempo al lavoro mal fatto. Più vario di così!
Tra gli insulti popolari un po’ più piccanti si possono annoverare diversi giochi di parole od equivoci come nel caso dell’apostrofo, corrente in certe situazioni, che si sente nei momenti di urgenza: “L’Archevêque, y t’en faut du temps pour faire un Pape!” rivolto a chi sta troppo a lungo nelle toilette, con chiara allusione al Papa che non si decideva a incoronare Napoleone e che, guarda caso, era quel “Pie VII” (leggere pissette ovviamente) che provocò la verve delle matrone di quel periodo. Qui, l’eufonia dello paronimo scelto dal Pontefice e l’iconografia satireggiante che accompagnò la sua umiliazione in Francia, ebbero un ruolo determinante nel coniare l’espressione.
Persino le canzoni popolari possono diventare fonti d’insulto quando, sull’aria del ritornello di molte “chansons de route” che recitano “mironton, mironton, mirontaine”, si dice a qualcuno di smettere di fare il “mironton” e di aprire gli occhi ossia di non fare più il credulone stupido. Al contrario, ad una persona che si crede furba, si può consigliare di non imbastire dei “bluff-mironton cousu de fil blanc” dei quali solo un emerito stupido potrebbe non accorgersi.

C. L’insulto volgare

L’insulto volgare è una pratica vecchia come il mondo e traduce soprattutto la collera, e viene difficile discernere l’ironia in quel tipo d’ingiuria. Tuttavia, alcune “varianti sul tema” fanno supporre intenzioni ironiche anche in questo campo. Infatti, se si possono annoverare ben cinquantuno sottoproduzioni del famoso “mot de Cambronne”, ci sarà pure un motivo legato alla capacità di tale lemma di tradurre le varie intenzioni del mittente. Per il solo classico sostantivo “merde” troviamo un dispregiativo “merdasse”, un accrescitivo “merdissime”, un diminutivo “merdaillon”, una forma detta letteraria “merdigues”, esistono quattro versioni per l’aggettivo, altrettanto per il verbo e persino alcuni derivati possono essere declinati in forme diverse. Questa abbondanza conferma che il lemma risponde alle intenzioni del locutore e può coprire anche l’area semantica dell’ironia. A parte questo caso, basato sulla leggenda storica, la maggior parte degli insulti volgari nascondono una sfumatura ironica determinata solo nel momento della creazione fonetica dei lemmi o nel momento del loro slittamento semantico.
Sempre nella lessicografia scadente, si possono contare diversi casi di locuzioni ironiche usate per insultare chi ci ha offesi o delusi: per esempio, se una persona viene definita nel linguaggio corretto un “pince-sans-rire” (che scherza rimanendo impassibile), nel linguaggio più trascurato potrà essere qualificata di “pisse-froid”, ma chi osa dire così corre il rischio di sentirsi rispondere volgarmente che sarebbe peggio se fosse affetta da “chaude-pisse” (blenorragia): qui ci troviamo di fronte ad un caso di ironia basata sull’ossimoro, anche se il locutore non immagina neppure di stare usando una figura stilistica colta. È evidente che persino l’insulto volgare può avere i suoi titoli nobiliari, cosi “se faire lalanlaire”, che equivale ad un salace “mandare a quel paese”, in quanto si tratta dell’alterazione, con iterazione fonetica interna, di “se faire f… en l’air”, può diventare ironia pura come nell’ episodio di Federico II di Prussia20 mentre l’insulto derivato da tale episodio (va te faire voir par le Roi de Prusse) è volgare quanto l’originale.
Limitiamo a questi esempi il discorso sull’ironia negli insulti volgari anche se l’argomento rientra perfettamente nell’illustrazione delle varie tecniche di creatività ironica o satirica. Il corpus di tali espressioni è senz’altro più ricco di quello delle locuzioni colte, anche se gli effetti di queste ultime ha senz’altro un impatto maggiore sull’immaginazione, ma era necessario dimostrare che esisteva ironia anche negli insulti di questo livello. Lo abbiamo fatto ed è quanto basta.

Conclusione

Come abbiamo visto, il nostro dizionario ci fornisce non poche occasioni di riflessioni sull’uso della parola in generale e dell’ingiuria in particolare. L’ironia può essere onnipresente nella nostra vita, basta saperla usare e saper leggere oltre le righe. Per questo bisogna ascoltare, oltre le parole proferite, la tonalità della voce, così com’è importante riflettere sulla struttura delle frasi, sul senso reale delle parole e sulle particolarità della punteggiatura.
Il “Dictionnaire des injures québécoises” ci avrebbe fornito altri esempi saporiti seguiti da alcuni (sempre troppo rari) commenti ironici degli autori; questi apostrofi, uniti alla pronuncia particolare degli autoctoni, trasformano l’ingiuria in vero diletto (pensiamo ad interiezioni come “exite-toè pas l’poël des jambes”, “tu risques de te faire désainciboèriser”, “t’as pas l’air en santé, tu devrais consulter ton vétérinaire”, o il commento a “Quia”21) ma avrebbe dilatato troppo il nostro argomento.
A questo aggiungiamo che, ad essere sinceri, gli esempi migliori di ironia li abbiamo trovati nella lettura delle definizioni delle varianti che l’autore ci propone. Esse, insieme ai commenti, trasformano un vocabolarietto, tutto sommato modesto, in una fonte di piacevoli sorprese e di risate interiori che, nel mondo di oggi, così avaro di allegria, sono un vero conforto.

Bibliografia

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Notes

↑ 1 EDOUARD, R. : Dictionnaire des injures, Paris, Sand et Tchou « 10/18 », 1979, réed. 2004

↑ 19 Op. cit. p. 227 Citiamo alla rinfusa : « Des salades à la mords-moi le gland » : Parole offensive pronunciate in tono carezzevole

.

↑ 2BEAUJEAN A. :,. Dictionnaire de la langue française, abrégé du dictionnaire de Littré, Paris, Hachette, 1960 A.A. V.V. Trésor de la langue française, dictionnaire de la langue du XIXième et du XXième siècle, Paris, Centre National de la Recherche Scientifique, 1977. 13 vol.

↑ 3 MIZZAU M. L’ironia, la contraddizione consentita, Milano, Feltrinelli, 1984.

↑ 4 Infatti, l’autrore precisa che « il détruit la vermine », il che equivale a dire “mi disprezzi perché non sono bello ma per lo meno sono utile per annientare quelli che, come te, sono solo esseri nocivi”.

↑ 5 KERBRAT-ORECCHIONI C. :L’ironie comme trope, in « Poétique » 41, 1980

↑ 6 EDOUARD, E. : Traité d’injurologie, Paris, Sand et Tchou « 10/18 », 1979, réed. 2004

↑ 7 idem., p. 196“Non mais, vise-moi ce feu arrière !” Riposte conseillée – “ne te fatigue pas, pauvre canard ; pour toi, il sera toujours au rouge !”

↑ 8 idem., p. 197 “Je suis brûlante…” – il serait moufle de ne pas lui répondre : Je voudrais mettre la main au feu…

↑ 9 : ibid. – “Et celui-là, tu l’as vu ? Vous jetterez négligemment : – Je n’y ai vu que du feu ! Et ne compte pas sur moi pour l’éteindre…

↑ 10 CHEVALIER, J : – GHEERBRANT, A. Dictionnaire des symboles, Paris, Laffont, 1969, réed. 1989.

↑ 11 EDOUARD, R : Dictionnaire des injures, op. cit. p. 201 “du latin flaccus : mou, flasque, qui a les oreilles tombantes. Surnom du poète Horatius (Horace) qui, sans doute pour se justifier d’indignes flagorneries, écrivait que l’on peut donner son avis sur quelqu’un ou quelque chose en plaisantant : « Qui empêche de dire la vérité en riant ? »”

↑ 12 id. p. 8, dalle allusioni si deduce che è il soprannome dato ai subornatori di fanciulle e, per metonimia, agli strumenti di tale azione.

↑ 13 id. p. 32 « C’est la bérézina Marquise ce matin ! » : Manière peu obligeante d’accueillir une dame dont le rimmel a coulé sur le visage durant la nuit (un viso nel quale le rughe sono quindi più visibili ; il titolo « marchesa » sottolinea l’ironia contenuta nell’apostrofe ingiuriosa)

↑ 14 Id : p : 187 Faquin Autrefois, synonyme de portefaix. Désigne aujourd’hui un individu de sac et de corde. Faquin est en outre de ces mots un peu précieux, un peu démodés, qu’on aurait avantage à utiliser plus souvent, notamment au milieu d’un chapelet d’injures modernes (par exemple : « dégueulasse, faquin, pignouf, salope, fumier… »

↑ 15 idem, op. cit. Là dove il primo alludeva alla diva, il secondo ricordava le pseudodefinizioni del « Dictionnaire » elencate da Robert Edouard p. 30 Bardot a) Petit mulet, au figuré : personne sur le compte de laquelle on plaisante volontiers ; b) Bête de somme, gracieux animal mythique qui empêchait, dit-on, les hommes de dormir ; c) (d’après une racine arabe) Selle confortable et qu’on aimerait enfourcher ; d) Petit manteau qui ne cache guère que la tête.

↑ 16 Ibid. p. 48. Gueuler, chanter plus fort que juste. On dit aussi « bailler comme un perdu ». Mais on ne dit jamais « brailler comme un aveugle » pour la bonne raison que ce verbe ne dérive pas de Braille (nom de l’inventeur de l’écriture en relief) mais du bas latin bragere : hennir, braire

↑ 17 Id. p. 19 « Peut s’employer, sur le même ton, pour saluer l’apparition d’une personne dont on veut se payer la tête tout en feignant le plus grand respect à son endroit. Murmuré d’une voix funèbre, donnera à une douairière un peu fofolle l’illlusion d’être reportée au temps de la Belle Otéro… Ou quelques inquiétudes au maître d’hôtel qui nous présente une addition salée. »

↑ 18 Dialogo sentito in un Consiglio d’Amministrazione Regionale tra un signore importante (per la mole, l’abbigliamento e il posto occupato) e una quarantenne piacevole e arguta. All’ammiratore troppo pressante che l’adulava e la invitava ad « une partie à deux », la signora rispose con un rifiuto adducendo che lui era una persona troppo in vista per osare rischiare e concludendo con l’esclamazione citata, nella quale introdusse un « leggero » errore di pronuncia, tra l’altro non percepito dall’interlocutore.

↑ 20 EDOUARD, R : Dictionnaire des injures, op. cit. p. 265-266, Ad un’attricetta che sollecitava soldi, il grande Re rispose : « Madame, allez vous faire … lanlaire » e la spiritosa soubrette tornò nove mesi dopo presentando una bambina e dicendo che, avendo ubbidito all’ordine regale, si aspettava che lui ne fosse il padrino e desse una dote. Fu fatto e si dice che Federico ebbe sempre una dichiarata predilezione per la figlioccia Lanlaire.

↑ 21 DULUDE, I – TRAIT, J.C. : Dictionnaire des injures québécoises, Montréal, Stanké, 1996, p. 157.

Pour citer cet article :

Françoise Bayle, Il « dictionnaire des injures » ossia giostrare con l’ironia, Bouquets pour Hélène, Publifarum, n. 6, pubblicato il 05/02/2007, consultato il 03/05/2024, url: http://www.farum.it/publifarum/ezine_articles.php?id=22

 

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Open Access Journal - ISSN électronique 1824-7482

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