Numéros publiés


2020| 34 33 32
2019| 31 30
2018| 29
2017| 28 27
2016| 26 25
2015| 24 23
2014| 22 21
2013| 20 19 18
2012| 17
2011| 16 15 14
2010| 13 12 11
2009| 10 9
2008| 8
2007| 7 6
2006| 4
2005| 3 2 1
2004| 0

Lectures

Carnets de lectures

Actualités

Appel à comm

Prochains Numéros

La revue

Ligne éditoriale

Comités de rédaction

Normes de rédaction

Mentions légales

Versione PDF

Riflessioni linguistiche sulla traduzione: il connettivo ‘o’ nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Jacqueline VISCONTI


Riassunto*

Una riflessione prettamente linguistica e testuale è al centro del contributo di Jacqueline Visconti, incentrato sulla traduzione del connettivo testuale “o” nei testi giuridici delle istituzioni europee. Attraverso esempi tecnici tratti dalla giurisprudenza unionale, Visconti si sofferma sui problemi di traduzione collegati ad una congiunzione solo apparentemente ininfluente a livello pragmatico, ricordando a lettori e traduttori quanto anche una piccola parte dell’impalcatura testuale possa diventare pietra angolare dell’argomentazione giuridica.

* Il riassunto è tratto dall'Introduzione

Nel 1986, traducendo i cataloghi della Mercedes, per Aufbewahrungsmittel il traduttore1 scelse dapprima ‘mezzo/strumento di preservazione’, poi, trasformando il complemento nell’aggettivo, ‘mezzo preservativo’. Naturalmente il revisore replicò: “Perché non uno intero?”... L’ambiguità è sempre in agguato ad insidiare il lavoro minuzioso del traduttore.

Come notava già duecento anni fa Friedrich Schleiermacher: “Entweder der Übersetzer lässt den Schriftsteller möglichst in Ruhe, und bewegt den Leser ihm entgegen; oder er lässt den Leser möglichst in Ruhe und bewegt den Schriftsteller ihm entgegen”.2

Del resto, come leggiamo dal temario di un Convegno su “Il traduttore errante”, svoltosi a Varsavia lo scorso aprile (2015): “Tra gli innumerevoli tentativi di definizione che lo hanno riguardato – artigiano, coautore, mediatore, traditore, interprete, servitore, ‘cambiavalute del linguaggio’ (B. TERRACINI) […] il traduttore è ed è stato anche viaggiatore, esploratore e conquistatore” (E. JAMROZIK). E ancora:

“Eterno Ulisse nell’irrisolvibile mare della diversità, solo e per conto di tutti, il viaggiare del traduttore si pone come una missione, solitaria e rischiosa […] Poche saranno le lodi che raccoglierà, molte le critiche per le scelte intraprese. Il suo errare nella terra straniera implicherà sempre il momento dell’ordine e del ritorno, la resa dei conti e la giustificazione delle scelte di rotta, il rischio di perdersi ancora e di fallire” (ibid.).

Se la difficoltà della traduzione è ben nota in tutti gli ambiti, in campo giuridico, di fronte al problema della trasposizione di istituti appartenenti ad ordinamenti giuridici diversi, questa diviene vera e propria impossibilità.3 Come nota James B. White, la traduzione giuridica è “the art of facing the impossible, of confronting unbridgeable discontinuities between texts, languages and people”.4

Non a caso i giuristi, soprattutto comparatisti, si interessano ormai da tempo a questioni di multilinguismo e traduzione giuridica.5 Il loro interesse, tuttavia, con poche eccezioni,6 si concentra su questioni terminologiche, su lessemi quali ‘consumatore’ o ‘proprietà’, e sulla legittimità della loro traduzione e trasposizione a cavallo di sistemi giuridici diversi.

Il carattere problematico della traduzione giuridica, tuttavia, non si limita a nomi o sintagmi nominali quali ‘contratto’, o ‘buona fede’, ma, come sostiene già Jacqueline Visconti,7 si estende ad altri livelli linguistici, fino a interessare la testualità.

I connettivi, in particolare, congiunzioni e avverbi della tradizione, tendono insidiose trappole sia all’interprete sia al traduttore; e tali problemi hanno conseguenze rilevanti sul piano giuridico.8

Come racconta Bruno Cavallone in un suo esilarante lavoro sulle promesse di matrimonio inadempiute,9 a tramare contro le nozze di Figaro e Susanna nella commedia La folle journée ou Le mariage de Figaro di Beaumarchais (1784) interviene a un certo punto Marcellina, che intende far valere contro lo sposo una esplicita promessa di matrimonio. Il testo recita:

«Je soussigné reconnais avoir reçu de damoiselle etc. Marceline de Verte-Allure, dans le Château de Aguas Frescas, la somme de deux milles piastres fortes cordonnées; laquelle somme je lui rendrai à sa réquisition, dans ce Château, et je l’epouserai, par forme de reconnaissance, etc.»

L’obiezione di Figaro è che il testo della scrittura è lievemente diverso, in quanto la promessa di restituire il denaro e quella di sposare Marcellina non sarebbero legate dalla “conjonction copulative et”, bensì dalla “conjonction alternative ou”:

«Je soussigné reconnais avoir reçu de damoiselle etc. Marceline de Verte-Allure, dans le Château de Aguas Frescas, la somme de deux milles piastres fortes cordonnées; laquelle somme je lui rendrai à sa réquisition, dans ce Château, ou je l’epouserai, par forme de reconnaissance, etc.»

La congiunzione svolge qui un ruolo cruciale nell’orientare l’interpretazione del testo (e nel liberare Figaro da uno dei due impegni!).

Ma anche in contesti istituzionali di grande rilevanza, come la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’interpretazione dei connettivi pone problemi non trascurabili. Da uno studio effettuato nel 2014 sulla giurisprudenza della Corte (http://curia.europa.eu/),10 anche limitando la ricerca ai soli casi conclusi, sono più di 50 i casi in cui la sentenza, o parti significative di essa, si incentrano su un connettivo, a conferma della centralità di tali espressioni nel guidare l’interpretazione. Questi alcuni casi significativi:

C-49/64, C-56/65 (oder), C-187/80 (und), C-90/83 (oder), C-91/87 (oder), C-84/90 (und), C-425/93 (oder), C-130/95 (oder), C-414/98 (und), C-338/00P (soweit), C-467/01 (und),C-102/02 (oder), C-103/02 (und), C-304/02 (oder), C-97/03 (oder), C-188/07 (oder), C-122/10 (pertanto…), C-162/10 (oder=sia sia), C-468/10 (oppure, soltanto quando), C-502/10 (oder), C-32/11 (oder), C-72/11 (und), C-271/11 (und), C-95/12 (nonché), C-388/12 (und), C-52/13 (oder).

Casi in cui la decisione del giudice si impernia su un connettivo, in particolare sulla congiunzione ‘o’, risalgono agli albori della giurisprudenza della Corte.

Soffermiamoci su due in particolare.11

Un primo caso degno di nota è costituito da C-304/02, su un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 228 CE proposto dalla Commissione contro la Repubblica francese, che non avrebbe garantito il rispetto delle norme comunitarie sulle misure di controllo delle attività di pesca svolte dai propri pescherecci, prescritte da vari regolamenti (ad es. Art. 1(1) e (2) del Regolamento 2847/93).

Il testo controverso è tratto dal Trattato EC Art. 228, in particolare 228.2:

La Corte di giustizia, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

Il nodo della questione è se la lettera del testo “può comminare il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità” significhi che la Corte possa, qualora riconosca che lo Stato membro interessato non si è conformato alla sua sentenza, infliggergli il pagamento, nel contempo, di una somma forfettaria e di una penalità oppure se queste siano misure alternative.

Invitati ad esprimersi sulla questione, la Commissione, i governi danese, olandese, finlandese e del Regno Unito hanno aderito alla prima tesi. Il loro ragionamento si fonda, in sostanza, sul fatto che queste due misure sono complementari, in quanto perseguono, ciascuna per conto proprio, un effetto dissuasivo; una combinazione di queste misure dovrebbe dunque essere considerata come un solo e identico mezzo per conseguire l’obiettivo fissato dall’art. 228 CE, ossia quello non soltanto di spingere lo Stato membro interessato a conformarsi alla sentenza iniziale, ma anche, in una prospettiva più generale, di ridurre la possibilità che infrazioni analoghe siano nuovamente commesse (par. 76).

I governi francese, belga, ceco, tedesco, ellenico, spagnolo, irlandese, italiano, cipriota, ungherese, austriaco, polacco e portoghese hanno invece sostenuto la tesi contraria (par. 79), basandosi proprio sulla formulazione letterale dell’art. 228, n. 2, CE e in particolare sull’impiego della congiunzione ‘o’, alla quale attribuiscono valore disgiuntivo, nonché sulla finalità di questa disposizione (quest’ultima non avrebbe cioè un carattere punitivo, dato che l’art. 228, n. 2, CE non cerca di punire lo Stato membro inadempiente, ma soltanto di spingerlo a eseguire una sentenza di inadempimento) (par. 78).

In conclusione la Corte decide di applicare entrambe le misure, vale a dire il pagamento sia di una somma forfettaria sia di una penalità, dato che “non è escluso il ricorso ai due tipi di sanzioni previste dall’art. 228, n. 2, CE in particolare qualora l’inadempimento, nel contempo, sia perdurato a lungo e tenda a persistere” (par. 82). Secondo la Corte all’interpretazione così accolta non può opporsi l’impiego, all’art. 228, n. 2, CE, della congiunzione ‘o’ per collegare le sanzioni pecuniarie che possono essere imposte, perché, come fatto valere dalla Commissione e dai governi danese, olandese, finlandese e del Regno Unito, tale congiunzione può, dal punto di vista linguistico, avere valore sia alternativo sia cumulativo e pertanto deve essere letta nel contesto in cui è impiegata. Alla luce della finalità perseguita dall’art. 228 CE, l’utilizzazione della congiunzione ‘o’ al n. 2 di tale disposizione deve pertanto essere intesa in senso cumulativo (sic!).

Un secondo gruppo di casi interessanti concerne le decisioni da cui emerge una discrepanza tra le versioni linguistiche della stessa norma.12

C-437/97, ad esempio, riguarda l’art. 33 della sesta direttiva del Consiglio (77/388/CEE) in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari. Il testo è:

I prodotti di cui al paragrafo 1 possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini della accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta (Art. 3.2.).

Come nella versione italiana qui sopra, nelle versioni tedesca, spagnola, francese e portoghese l’uso della congiunzione ‘o’ consente un’alternativa tra il rispetto delle regole comunitarie d’imposizione relative alle accise e il rispetto di quelle relative all’IVA:

Les produits mentionnés au paragraphe 1 peuvent faire l’objet d’autres impositions indirectes poursuivant des finalités spécifiques, à condition que ces impositions respectent les règles de taxation applicables pour les besoins des accises ou de la taxe sur la valeur ajoutée pour la détermination de la base d’imposition, le calcul, l’exigibilité et le contrôle de l’impôt.

Auf die in Absatz 1 genannten Waren können andere indirekte Steuern mit besonderer Zielsetzung erhoben werden, sofern diese Steuern die Besteuerungsgrundsätze der Verbrauchsteuern oder der Mehrwertsteuer in bezug auf die Besteuerungsgrundlage sowie die Berechnung, die Steuerentstehung und die steuerliche Überwachung beachten.

Nelle versioni inglese, danese, finlandese, greca, olandese e svedese compare invece la congiunzione ‘e’, a richiedere il rispetto cumulativo di queste regole:

The products listed in paragraph 1 may be subject to other indirect taxes for specific purposes, provided that those taxes comply with the tax rules applicable for excise duty and VAT purposes as far as determination of the tax base, calculation of the tax, chargeability and monitoring of the tax are concerned.

Come in molti altri casi, la Corte decide che, in caso di disparità tra le diverse versioni linguistiche di un testo comunitario, la disposizione deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui essa fa parte (par. 43 e segg.).13 L’argomento è basato sull’incompatibilità di alcune caratteristiche dell’IVA e delle accise: la prima è proporzionale al prezzo dei beni che essa colpisce mentre le seconde sono calcolate sul volume del prodotto; l’IVA è riscossa in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione, mentre le accise divengono esigibili all’atto dell’immissione in consumo dei prodotti assoggettati ad imposta; infine, l’IVA è caratterizzata dalla sua generalità mentre l’accisa è imposta solo su prodotti determinati. Di conseguenza, conclude la Corte, l’art. 3.2. della direttiva sulle accise prevede una condizione impossibile da realizzare se dovesse essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri il rispetto contemporaneo delle regole dell’imposizione relative a queste due categorie d’imposta.

Sorge però una domanda spontanea: come è possibile che alcune versioni di una stessa norma, che verrà poi applicata in tutti gli Stati Membri e a tutti i cittadini dell’Unione, presentino come alternative regole che altre versioni presentano come cumulative? Si tratta veramente di una svista del traduttore (and = o/ou/oder!), o piuttosto di esigenze diverse portate avanti nelle negoziazioni tra le diverse delegazioni?

Certo è che molti problemi sia di interpretazione sia di traduzione nascono da una cattiva redazione del testo normativo. Anzi, l’interesse di cercare nella giurisprudenza le conseguenze dell’oscurità del testo normativo rivela come tale oscurità si celi spesso in elementi linguistici all’apparenza inoffensivi, quali avverbi, preposizioni o congiunzioni, con conseguenze giuridiche anche rilevanti.

Come in quella citazione spesso attribuita a Otto von Bismarck (che pare invece di John Godfrey Saxe),14 è proprio vero che le leggi sono un po’ come le salsicce: meglio non guardare troppo da vicino a come sono fatte!


Notes

↑ 1 Mario Visconti (padre dell’autrice!).

↑ 2 Über die verschiedenen Methoden des Übersetzens, Abhandlungen der Kön.-Preuss. Akad. der Wiss. zu Berlin. Philos. Kl. 1812-13; 1816. Su questi temi si veda anche Paolo Ramat, “The Problem of (Un)Translatability”, Rivista Italiana di Linguistica Applicata 39, fasc. 1-2, 2007, e, più ampiamente, il volume Language across Languages: New Perspectives on Translation, curato da Paolo Ramat e Emanuele Miola, Cambridge Scholars Publishing, 2015.

↑ 3 Basti rinviare a Susan Šarčević, “Challenges to the Legal Translator”, Oxford Handbook of Language and the Law, curato da Peter M. Tiersma e Lawrence M. Solan, 2012, pp. 187-199 e ai riferimenti qui indicati.

↑ 4 Justice as Translation, Chicago University Press, 1994, p. 257.

↑ 5 Si veda, ad esempio, Silvia Ferreri, “La lingua del legislatore europeo”, in Jacqueline Visconti (a cura di), Lingua e diritto, LED, 2010, pp. 247-59; Tito Gallas, “Drafting multilingue: missione impossibile?” in Elena Ioriatti (a cura di), La traduzione del diritto comunitario ed europeo: riflessioni metodologiche, Alcione, 2007, pp. 27-40; Antonio Gambaro, “Interpretation of multilingual legislative texts”. In: Electronic Journal of Comparative Law 11.3.2007; Barbara Pozzo, Valentina Jacometti (a cura di), Multilingualism and the Harmonisation of European Law, Kluwer Law International, 2006; Rodolfo Sacco (a cura di), L’interprétation des textes juridiques rèdigés dans plus d’une langue, L’Harmattan, 2002; Rodolfo Sacco, Luca Castellani (a cura di), Les multiples langues du droit européen uniforme, L’Harmattan, 1999.

↑ 6 Come Lawrence M. Solan, The Language of Judges, Chicago University Press, 1993, che dedica diverse pagine all’interpretazione di or negli statuti degli Stati Uniti d’America, o Layman Allen, “Symbolic Logic: A Razor-Edged Tool for Drafting and Interpreting Legal Documents”, in The Yale Law Journal, LXVI, 1957, pp. 833 sgg., che nota quanti legami logici possano essere nascosti da semplici congiunzioni, quali and, or, ecc.

↑ 7 “La traduzione del testo giuridico. Problemi e prospettive di ricerca”, Terminology and Translation. A Journal of the Language Services of the European Institutions, 2000/2, pp. 38-66.

↑ 8 Sulla traduzione di connettivi quali salvo che o notwithstanding, Jacqueline Visconti, “European integration: connectives in EU legislation”, International Journal of Applied Linguistics.

↑ 9 “Un insidioso thema probandum: Figaro, Pickwick e la prova della promessa di matrimonio”, Rivista di diritto processuale, 2009.3, pp. 677-688.

↑ 10 Grazie ad un soggiorno di due mesi all’Istituto di Europäische Rechtslinguistik dell’Università di Colonia, ospite della Prof.ssa Isolde Burr con una borsa del Deutscher Akademischer Austausch Dienst (giugno-luglio 2014), e ad un successivo stage presso la Corte di Giustizia di Lussemburgo, ospite del Giudice Antonio Tizzano (maggio 2015). Court decisions at the semantics-pragmatics interface, in Dennis KURZON e Barbara KRYK-KASTOVSKY, Legal pragmatics, J. Benjamins, 2017

↑ 11 Per una discussione più distesa si veda Jacqueline Visconti, “Interpreting connectives at the European Court of Justice”, in preparazione per il volume Handbook of Legal Communication, Mouton de Gruyter.

↑ 12 Si veda, ad es., Cornelis J. W. Baaij, “Fifty Years of Multilingual Interpretation in the European Union”, Oxford Handbook of Language and Law, cit, o Lara Trucco, qs vol. e i riferimenti qui indicati.

↑ 13 Si veda, ad es., Koen Lenaerts e José A. Gutiérrez-Fons, To Say What the Law of the EU Is: Methods of Interpretation and the European Court of Justice, European University Institute Working Paper AEL 2013/9.

↑ 14 “Laws, like sausages, cease to inspire respect in proportion as we know how they are made” (University Chronicle, University of Michigan, 1869).

Pour citer cet article :

Jacqueline VISCONTI, Riflessioni linguistiche sulla traduzione: il connettivo ‘o’ nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, CERTEM, Publifarum, n. 27, pubblicato il 01/02/2017, consultato il 26/04/2024, url: http://www.farum.it/publifarum/ezine_articles.php?id=389

 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN électronique 1824-7482

Site réalisé avec DOMUS