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Divergenze linguistiche ed interpretazione uniforme delle norme europee

Edoardo PUSILLO


Riassunto

Tutte le norme redatte in tutte le lingue ufficiali dei Paesi dell’Unione europea hanno lo stesso valore giuridico ma la regola, incontestabile “sulla carta”, è talvolta ben diversa nella realtà. L’interpretazione di una stessa disposizione può non essere uniforme in tutte le versioni in cui è scritta. E nel corso degli anni non sono certamente mancati i casi. Il testo affronta questo aspetto del multilinguismo europeo, la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia europea in materia ed il possibile ruolo di una “lingua franca” finalizzata, non a sostituire gli idiomi nazionali, ma ad essere “strumento” funzionale per la diffusione della conoscenza giuridica, scientifica o culturale.

Abstract

All the regulations drawn in all the official languages of the countries of the European Union have the same juridical value, but the indisputable rule “on paper”, is often very different from the reality. The interpretation of the regulation may not be uniform in all the languages in which is written and over the years there has been no lack of such cases. This paper addresses the issues of the European multilingualism, the evolving jurisprudence of the European Court Justice regarding this subject, and the possible role of a “lingua franca” introduced not to substitute national idioms but to be a functional tool to spread juridical, scientific and cultural knowledge.

“Dire quasi la stessa cosa” in un’altra lingua è possibile, necessario, auspicabile, ma non sempre capita. Ho citato il titolo del noto libro di Umberto Eco per introdurre il tema delle “Divergenze linguistiche e l’interpretazione uniforme delle norme europee” e per porre l’accento sulle problematicità insite nella traduzione e nell’interpretazione in una realtà multilingue e multiculturale quale è l’UE. Non si tratta di rassegnarsi all’intraducibilità e neppure convincersi di una trasposizione dei termini sempre perfetta ma semplicemente sottolineare che dubbi, incertezze o imperfezioni sono inevitabilmente in agguato. Maria Rosaria Ferrarese, ordinario di Sociologia del diritto, sostiene che «se si mettessero insieme tutte le parole di tutte le lingue del mondo si vedrebbe che, mentre la gran parte di esse appaiono sovrapponibili più o meno perfettamente, perché hanno un significato più o meno coincidente, altre restano sole, o con compagnie non proprio simili, in quanto indicano un’azione, un sentimento, un modo di sentire o un oggetto, che solo ad esse corrisponde» (FERRARESE 2008 : 34 ). Ecco quindi perché “Dire quasi la stessa cosa” in un’altra lingua talvolta è difficile.

Quando si parla di Divergenze linguistiche ed interpretazione uniforme delle norme europee” s’intende quel particolare ambito che attiene all’applicazione del diritto in una Unione in cui coesistono tante e diverse lingue ufficiali. Una realtà che non ha uguali nel panorama internazionale. E’ appena il caso di ricordare che attualmente su ventotto Stati membri le lingue ufficiali sono ben ventiquattro (centinaia le lingue parlate, tra regionali e minoritarie) e ben tre gli alfabeti utilizzati: latino, greco e cirillico. E se nei prossimi anni, come tutto lascia prevedere, aderiranno all’Unione nuovi Stati il numero delle lingue ufficiali sarà inevitabilmente destinato ad aumentare.1 Come spiega Tullio De Mauro « ... il multilinguismo, la pluralità di lingue nazionali che caratterizza l’Europa è frutto della sua intera storia» (DE MAURO 2014 : 23). E non è un caso che il primo atto dell’allora Comunità Economica Europea (CEE), il Regolamento numero 1 del 1958, riguardasse proprio il regime linguistico europeo. Se è vero che il Regolamento 1/58 all’epoca era necessario per garantire il funzionamento delle nuove istituzioni è anche vero che con tale atto gli Stati fondatori vollero sancire, senza ombra di dubbio, la parità delle loro lingue ufficiali. Alla Comunità Economica Europea, poi diventata Unione europea, si sono via via aggiunti altri Stati ed il numero delle lingue ufficiali è aumentato sino agli attuali ventiquattro idiomi.

Sappiamo che nell’Unione europea il “patto” di leale cooperazione2 che tiene legati, in condizioni di uguaglianza, gli Stati, e quindi i loro cittadini, implica il reciproco rispetto per quelle che sono le diversità, il motto dell’UE è infatti “Uniti nella diversità”. La parità tra gli Stati membri ed il rispetto delle diversità culturali non poteva quindi non riflettersi nel regime linguistico. L’elemento che più di ogni altro esprime la diversità culturale è proprio la diversità linguistica. La lingua, infatti, non è solo uno strumento, per quanto indispensabile, di comunicazione ma va soprattutto considerata il mezzo di trasmissione della cultura stessa. Sono le lingue, analizzate in termini diacronici, che “raccontano” quella cosa straordinaria che è l’esperienza umana.

Tutte le leggi europee vengono oggi, come allora, considerate “co-redatte” in tutte le lingue ufficiali, cioè redatte simultaneamente, anche se poi la co-redazione è solo una finzione giuridica a garanzia del fatto che ogni versione deve avere lo stesso identico valore giuridico. La co-redazione è infatti possibile in Stati dove esiste un bilinguismo oppure un trilinguismo perfetto ed un’unica cultura giuridica, nell’UE a 28 la procedura sarebbe estremamente difficoltosa e macchinosa. La stessa Commissione europea spiega, nel suo “Study on Lawmaking in the EU Multilingual Environment”,3 che ormai la redazione delle proposte legislative non si realizza con la co-redazione ma attraverso un sistema articolato in tre fasi: redazione del testo nella lingua sorgente, traduzione in tutte le lingue ufficiali e revisione giuridica delle differenti versioni linguistiche finalizzata alla verifica della corrispondenza terminologica di ciascun testo. Tutto ciò per garantire che alla fine dalla procedura legislativa un Regolamento, una Direttiva oppure una Decisione cioè le “leggi” dell’Unione europea, dicano “le stesse cose” in ognuna delle diverse lingue ufficiali degli Stati come se effettivamente fossero co-redatte.

In base al “principio di pari valore di ogni norma europea in tutte le versioni linguistiche” è pertanto possibile far riferimento ad una qualsiasi delle ventiquattro “varianti”; non è infatti necessario prendere in considerazione solo il testo scritto nella lingua ufficiale dello Stato di appartenenza. Ma non è tutto. L’altro principio a cui occorre far riferimento sancisce l’“uniforme applicazione del diritto europeo in tutti gli Stati membri”. E non potrebbe essere altrimenti. Si tratta anche in questo caso di un presupposto indiscutibile perché garantisce che gli obblighi imposti da una legge europea siano uguali in tutti gli Stati, per tutti i cittadini indistintamente, senza nessuna disparità di trattamento (o discriminazione, se vogliamo) da un territorio ad un altro.

Considerando il multilinguismo che caratterizza l’UE prima o poi capita il caso di una diversa interpretazione di un testo soprattutto quando si tratta dell’applicazione pratica di una disposizione. Lo studioso Rodolfo Sacco sottolinea: « ... la legge redatta in più lingue porterà sempre con sé divergenze fra i significati delle molteplici versioni. Ovviamente, la divergenza si manifesta là, dove il traduttore non ha saputo evitarla» (SACCO 2008 :11). Tante sono le considerazioni che si possono fare ma una è impreteribile: nel caso di divergenze terminologiche il “principio di uguale valore giuridico delle norme nelle diverse versioni linguistiche” e il “principio dell’uniforme applicazione del diritto europeo” appaiono inevitabilmente inconciliabili.

E’ spontaneo allora domandarsi: di fronte a divergenze interpretative dovute a diversità terminologiche quale versione deve prevalere? E’ giusto o no che una o più versioni siano “sacrificate”? E chi lo stabilisce?

Nell’ambito dell’applicazione delle norme europee la questione si complica ulteriormente nelle Direttive, che, come sappiamo, sono atti vincolanti per gli Stati ma solo per quanto riguarda il raggiungimento di un fine determinato. La Direttiva, atto tipicamente internazionale, infatti «vincola lo Stato membro a cui è rivolto per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi».4 La Direttiva è quindi una “legge” europea rivolta agli Stati e come tale deve essere recepita dai medesimi entro il termine indicato. Gli atti che gli Stati devono varare per raggiungere i risultati indicati nella Direttiva vengono redatti unicamente nella lingua madre di ogni singolo Stato e, successivamente, le norme interne di attuazione sono vincolanti solamente nella lingua nella quale sono scritte (cioè nella lingua o nelle lingue ufficiali dello Stato stesso). A questo punto, nell’applicazione di norme interne che recepiscono una Direttiva, la divergenza interpretativa dovuta a differenze linguistiche non è più sanabile. La conseguenza è l’inevitabile applicazione di una o più leggi con effetti e conseguenze diverse da Stato a Stato.

Nel corso degli anni non sono certamente mancati casi di diversa interpretazione delle leggi. La stessa Corte di giustizia ha più volte ammesso l’esistenza di «divergenze tra le versioni linguistiche di una stessa norma europea».

I giudici chiamati ad interpretare il cosiddetto “diritto derivato” hanno, secondo i casi, fatto ricorso al criterio teleologico (con riferimento cioè allo scopo della norma stessa), oppure al criterio sistematico (con riferimento al contesto e al sistema complessivo in cui la norma è inserita) oppure al criterio storico (con rifermento ai precedenti normativi). E ogni volta che la Corte ha dovuto risolvere casi di divergenze interpretative di un testo multilingue oltre ai citati criteri ha preliminarmente ribadito che «la necessità di interpretare il diritto europeo in modo uniforme esclude che in caso di dubbio, il testo di una disposizione possa essere considerato isolatamente: esso deve essere interpretato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali».5 Questa “regola”, che appartiene ormai alla giurisprudenza costante della Corte, richiede un approfondimento. L’interpretazione «alla luce dei testi redatti nelle altre lingue» avviene in caso di “dubbio”, cioè quando appare evidente che ventitré versioni di una stessa norma sono interpretate in un modo ed una sola versione si differenzia dalle altre. L’esame delle pronunce della Corte di giustizia induce però a ritenere che l’indicato ricorso ai testi redatti nelle altre lingue ufficiali sia necessario anche quando la versione presa in esame appare chiara. In altre parole la norma europea deve essere correttamente interpretata prendendo sempre in considerazione tutte le versioni linguistiche, perché solo in tal modo può emergere un dubbio interpretativo. Verificare le diverse versioni linguistiche del testo ogni volta che occorre applicare una norma europea o un norma nazionale riferibile al diritto europeo è proceduralmente ineccepibile ma di innegabile difficile attuazione. Ciò presuppone infatti che un giudice, un qualsiasi professionista, un pubblico amministratore, un traduttore o un interprete conosca tutte le ventiquattro lingue ufficiali dell’UE per poter fare una adeguata comparazione terminologica.

In materia di “Divergenze linguistiche e di interpretazione uniforme delle norme europee” occorre tener presente che la natura stessa dell’Unione ed il carattere vincolante degli atti legislativi europei impongono che «nel rispetto del principio della certezza del diritto, e del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, tutti i cittadini europei devono essere in grado di capire il testo degli atti legislativi […] quindi devono averli a disposizione nella lingua ufficiale del loro Paese» (LISEANA 2010 : 4 ). Non sarebbe infatti logico che i cittadini si trovassero ad essere titolari di diritti e doveri che non sono in grado di comprendere perché espressi in una lingua diversa dalla propria.6 I cittadini devono, inoltre, poter conoscere le “leggi” europee ed essere in condizioni di sapere come queste condizionano, o condizioneranno, la loro vita.

Martin Schulz, attuale presidente del Parlamento europeo, nel suo libro “Il gigante incatenato”, facendo una lucida analisi di quello che è e che potrà essere l’UE in futuro, spiega: «Non sarà certo la sua “babilonica molteplicità linguistica” a far crollare la democrazia europea. Al contrario sono convinto che questa varietà linguistica sia, e rimarrà, per tutti noi una ricchezza culturale e intellettuale...» (SCHULZ 2014 : 161).

Ecco allora che è di grande attualità il tema del nostro convegno: di fronte ad un multilinguismo quale quello europeo il ricorso ad una lingua “franca” che sia in grado di esprimere in modo univoco concetti non solo giuridici, ma anche economici, scientifici e via dicendo appare inevitabile. Spiega Rodolfo Sacco: «I popoli hanno sempre avuto bisogno di parlarsi attraverso le frontiere linguistiche. Da migliaia di anni sono fiorite lingue veicolari, adoperate da chi le parla naturalmente e adoperate da chi ricorre ad esse traducendo nella propria lingua materna» (SACCO 2008 : 10). E i traduttori, come sostiene il sociologo Ulkrich Beck, «sono le nuove figure guida del XXI secolo, e di certo anche il suo nuovo proletariato» e sottolinea «Certamente non si può più pensare un’idea di dimensione pubblica in ambito europeo, ma neppure un’idea di società in ambito europeo, rimanendo confinati all’interno della comunità linguistica e solidale nazionale...» (BECK 2012 : 109).

Oggi è indiscutibile lo “strapotere” dell’inglese (prima affermatosi come lingua del commercio internazionale, poi del mondo della musica, del cinema e via dicendo ed ora lingua di Internet). Nella comunità scientifica, per esempio, considerando che le scoperte devono essere un patrimonio di tutti, l’utilizzo dell’inglese facilita la diffusione delle conoscenze. Una lingua veicolare non alternativa alla lingua madre di ognuno di noi che è e resta, torno a quanto avevo accennato all’inizio, il mezzo di trasmissione della cultura, sarà uno “strumento” funzionale al dialogo tra milioni di persone per poter restare tutti “uniti nella diversità”.

Oggi senza rendercene conto già usiamo tante nuove espressioni che non appartengono al nostro italiano ma ci servono, in un determinato contesto, per comunicare, per capire un concetto. Mi viene in mente una espressione legata alla tecnologia informatica come «clicca con il mouse per aprire il file...». Parole brutte, se vogliamo, incomprensibili qualche decennio fa, ma oggi di uso comune e soprattutto indispensabili al dialogo. Una lingua franca per noi cittadini europei forse è un passo che dobbiamo rassegnarci a fare per cambiare il nostro modo di comunicare in un mondo globalizzato, senza perdere la nostra identità culturale.

La natura è maestra: nel lungo periodo a sopravvivere non sono le specie più forti, ma quelle che sono in grado di adeguarsi ai cambiamenti dell’ambiente.

Bibliografia

ULRICH BECK, La crisi dell’Europa, Bologna, il Mulino 2012.
TULLIO DE MAURO, In Europa son già 103, Roma - Bari, Editori Laterza, 2014.
MARIA ROSARIA FERRARESE, Interpretazione e traduzione, in Elena Ioratti Ferrari (a cura di), Interpretazione e traduzione del diritto, Padova, Cedam, 2008, pp 13 - 40.
FLORIANA LISENA, «La Babele (o la Pentecoste) delle lingue nell'Unione europea», in Rivista telematica giuridica dell' Associazione Italiana dei Costituzionalisti (AIC), 4/2010 pp 1-14.
RODOLFO SACCO, Dall’interpretazione alla traduzione, in Elena Ioratti Ferrari (a cura di), Interpretazione e traduzione del diritto, Padova, Cedam, 2008 pp 3 - 12.
MARTIN SCHULZ, Il gigante incatenato, Roma, Fazi Editore, 2014.





Notes

↑ 1 Paesi candidati ad entrare nell’Unione europea sono: l’ex repubblica jugoslava di Macedonia (lingua ufficiale macedone), Montenegro (montenegrino), Serbia (serbo), Turchia (turco) ed Islanda (islandese); quest’ultimo Stato dopo le elezioni del maggio 2013 e la vittoria del centrodestra ha però deciso di sospendere a tempo indeterminato il negoziato di adesione all’UE in attesa di indire un referendum tra i cittadini. Il Consiglio europeo ha altresì riconosciuto lo status di Paesi candidati potenziali ad Albania (lingua ufficiale albanese), Bosnia Erzegovina (bosniaco, croato e serbo) e Kosovo (albanese e serbo) come definito dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

↑ 2 Art 4 paragrafo 3 del TUE.

↑ 3 Cfr Commissione europea, Direzione Generale per la Traduzione. Study on Lawmaking in the EU Multilingual Environment, 2010.

↑ 4 TFUE art 288.

↑ 5 Questo criterio è stato espresso per prima volta dai giudici europei nel 1967 (nel caso van der Vecht) e successivamente ribadito in tutte le sentenze relative a divergenze tra versioni linguistiche.

↑ 6 Sul punto Oscar Fiumara, in atti dal convegno su La parità delle lingue nell’Unione europea, Firenze, maggio 2008. (http://www.avvocaturastato.it).

Pour citer cet article :

Edoardo PUSILLO, Divergenze linguistiche ed interpretazione uniforme delle norme europee, CERTEM, Publifarum, n. 27, pubblicato il 01/02/2017, consultato il 24/04/2024, url: http://www.farum.it/publifarum/ezine_articles.php?id=388

 

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